INTRODUZIONE
La spalla per funzionare adeguatamente ha bisogno di mantenere, in tutti i movimenti che riguardano i vari piani dello spazio, una buona congruenza tra una superficie sferica ampia omerale che si articola con una superficie molto ridotta corrispondente alla glena.
Questa configurazione geometrica permette alla spalla un ampio grado di libertà articolare riguardo al necessario uso dell’arto superiore ma, in realtà, diventa un fattore negativo in quanto la fa definire l’articolazione meno stabile del nostro organismo e conseguentemente l’articolazione con percentuale di lussazione-sublussazione più alta!
Per funzionare adeguatamente, dunque, è necessario che il tessuto capsuloligamentoso che sta intorno alla spalla renda congruente sempre in tutti i gradi articolari la testa omerale rispetto alla glena scapolare.
In altre parole il vero motore della spalla è il deltoide che, nelle sue tre componenti, fa alzare il braccio se i tendini che costituiscono la cuffia dei rotatori si oppongono alla azione traslante verso l’alto del deltoide rispetto alla testa omerale e “centrano” la testa contro la glena!
La buona funzione articolare della glenomerale è, quindi, garantita dall’azione di coppia del deltoide con la cuffia dei rotatori con strutture circostanti capsuloligamentose in grado di garantire in tutti i piani articolari dello spazio la congruenza testa/glena.
IL TRATTAMENTO
La lunga premessa, nella prima parte di questo approfondimento speciale, ci ha permesso di capire quanto una scarsa qualità del tessuto che circonda l’articolazione (con bassa qualità connettivale per un cattivo rapporto tra quota fibrosa e quota elastica tissutale) provochi una instabilità di base della testa omerale.
Questa non risulta perfettamente centrata sulla glena e, per la ricordata azione del deltoide, tende a risalire con conflitto meccanico della testa omerale contro un arco osteofibroso che circonda superiormente l’articolazione definito arco coracoacriomiale!
Ne deriva una sofferenza traumatica continuativa della parte superiore della cuffia dei rotatori (tendine sovraspinato) che va incontro a fenomeni involutivi con #tendinosi e, come atto finale del processo di mortificazione tissutale, si ha la precipitazione di sali di calcio all’interno del tessuto tendineo con conseguente entesopatia calcifica.
A questo punto possiamo affermare che il problema non sono certamente le calcificazioni quanto l’alterata meccanica articolare che inesorabilmente conduce a tendinosi!
Di conseguenza tutti i trattamenti volti ad eliminare le calcificazioni (onde d’urto piuttosto che litotripsi) da soli non portano a risultati che si mantengono efficaci.
LE CONCLUSIONI
Il trattamento della patologia tendinosica da instabilità si basa da quanto affermato sul tentativo fisioterapico dedicato al rinforzo muscolare isometrico degli stabilizzatori di spalla, associato ad un atteggiamento ergonomico, nel tentativo di non eseguire gesti legati alla vita lavorativa o sportiva che esaltino la instabilità della gleno-omerale
Questo tipo di instabilità si definisce minore per distinguerla dalla instabilità maggiore, derivante da evento traumatico e successiva instabilità ricorrente anteriore!
A livello spalla, dunque, distingueremo una instabilità maggiore monodirezionale caratterizzata dalla incidenza in età giovanile nel sesso maschile (con evento traumatico di partenza di solito a risoluzione chirurgica)
Mentre una instabilità minore multidirezionale nettamente più frequente senza precedenti traumatici, tipica del sesso femminile, spesso a risoluzione con adeguata fisioterapia volta al potenziamento isometrico degli stabilizzatori di spalla!
Una instabilità minore può adattarsi da un punto di vista sintomatologico anche se espone i tendini della cuffia ad una usura ingravescente che, associata ad un gesto lavorativo piuttosto che sportivo non ergonomico, conduce alla classica lesione su base tendinosico-degenerativa della cuffia dei rotatori per quanto detto, ovviamente, più frequente nel sesso femminile.