Protesica
Introduzione
L’aumento della vita media permette un maggior uso con conseguente incremento della degenerazione artrosica delle articolazioni più grandi e con maggior grado di libertà articolare (spalla) e delle articolazioni cimentate dalla gravità (anca e ginocchio). Quando l’artrosi diviene grave, il degrado della cartilagine articolare condiziona a tal punto la qualità di vita che, pur trattandosi di pazienti solitamente anziani con patologie associate di ordine internistico, si consiglia, se le condizioni generali lo permettono, l’intervento di sostituzione protesica dell’articolazione colpita.
Il costante e progressivo aumento degli interventi praticati per sostituzione protesica delle grandi articolazioni giustifica il tentativo, con queste poche e semplici informazioni, di fornire al Pz. candidato all’intervento di artroprotesi le raccomandazioni e rassicurazioni che di solito sono richieste e formulate al chirurgo di fiducia.
Foto del lontano 2007 quando, dopo qualche anno di artroprotesi anatomiche di spalla e relative difficoltà sono rimasto ” folgorato ” nel corso di un corso su cadavere svolto a Parigi insieme al mio fraterno amico e collega Dr. Bertora Stefano, dalle possibilità offerte dalle protesi inverse.
Raccomandazioni generali per candidati ad intervento protesico spalla, anca e ginocchio
1) Fate una nota dei farmaci che assumete con il nome e la posologia degli stessi da consegnare all’atto della visita anestesiologica preoperatoria. Molto importante è sapere se, e con quale dosaggio, assumete farmaci che ritardano la coagulazione del sangue (aspirina, ticlopidina o simili, FANS, anticoagulanti)
2) Provvedete, il giorno prima della data fissata per il ricovero, alla accurata depilazione con lametta della zona candidata all’intervento e della pelle circostante compresa l’ascella nel caso della spalla e il pube per l’anca, facendo la massima attenzione a non procurare graffi o piccole ferite accidentali. Si consiglia di usare sapone da barba e di farsi aiutare dai propri familiari.
3) Avvisate tempestivamente il chirurgo di fiducia dell’eventuale comparsa di stati febbrili, infezioni dei tessuti intorno all’unghia (mani o piedi), situazioni infiammatorie del cavo orale, sinusiti e in genere di qualsiasi alterazione, anche giudicata da voi banale, dello stato di salute.
4) Provvedete all’acquisto nei negozi di articoli sanitari del tutore postoperatorio (nel caso di artroprotesi di spalla) o delle calze antitrombo (di solito monocollant) e dei bastoni canadesi consigliati (nel caso di artroprotesi di anca e ginocchio)
5) Se non siete pronti a collaborare con i medici ed i fisioterapisti che vi aiuteranno nella rieducazione postoperatoria non iniziate un cammino di per sé difficile che, senza collaborazione da parte del paziente, conduce inesorabilmente ad un insuccesso.
6) Le prime settimane postoperatorie sono a rischio di complicanza tromboembolica per cui oltre alla profilassi con Eparina e all’uso di calze antitrombo è fondamentale che siano eseguiti a letto, già nell’immmediato periodo postoperatorio, esercizi ad intervalli da eseguire dal lato sano e da quello operato per mantenere attiva la muscolatura ed evitare la stasi venosa mantenendo attività muscolare anche agli arti superiori. Fondamentali sono dunque esercizi di mobilizzazione immediata di caviglia e piede oltre ad adeguata ginnastica respiratoria come consigliato dai fisioterapisti.
Concetti generali
L’articolazione scapolo-omerale, comunemente detta spalla, è un’articolazione che lavora in sospensione.Il corretto funzionamento è dato dall’azione sinergica del muscolo deltoide con i muscoli componenti la cuffia dei rotatori. Mentre il deltoide tende a traslare la testa omerale verso l’alto i tendini della cuffia centrano la testa omerale all’interno della glena scapolare lungo tutto l’arco di movimento rendendo più efficiente l’azione del deltoide e migliorando la funzione globale dell’articolazione anche nei movimenti di intra ed extrarotazione.
L’azione dinamica continua della cuffia dei rotatori espone la stessa al rischio di usura specie in alcune tipologie di attività lavorative o nel sesso femminile dove abbiamo una maggiore lassità che porta a assottigliamento tendineo e aumenta la fragilità degli stessi tendini. In questi casi l’azione centrifuga del deltoide prevale sulla azione di centramento della cuffia e la testa omerale risale rispetto alla sua posizione anatomica. La risalita della testa comporta la sua degenerazione artrosica anche per il conflitto che si viene a formare con le strutture osteofibrose che occupano lo spazio articolare superiore. La testa risulta così risalita e scoperta dalla cuffia che quindi non può nemmeno contribuire al nutrimento della cartilagine articolare che soffre e accellera il processo degenerativo artrosico. La risalita della testa definisce questo tipo di artrosi “eccentrica” per distinguerla da quella “concentrica” dove riconosciamo una testa omerale ancora centrata sulla glena e una cuffia dei rotatori perfettamente competente. Nell’artrosi concentrica infatti i tendini della cuffia sono integri ma l’articolazione è degenerata per via di una viziosa consolidazione di pregressa frattura o per deficit di irrorazione sanguigna della testa che porta a necrosi della stessa o per degenerazione artrosica primitiva.
Protesi di spalla
A differenza della chirurgia protesica di anca e ginocchio di cui la ricerca è all’avanguardia, la protesica di spalla è un campo ancora in esplorazione. Fino al 1986 l’impianto di una protesi era riservato a pazienti con artrosi concentrica e una cuffia dei rotatori competente. Ma in quell’anno il Dr. Paul Grammont tentò con un impianto protesico di sfruttare l’azione del deltoide per garantire il movimento dell’articolazione severamente limitata dal deficit di cuffia. Egli ideò infatti la protesi inversa di spalla in cui il meccanismo d’azione articolare viene invertito e il piattismo della glena viene sostituito con una glenosfera mentre la sfericità della testa omerale è rimpiazzata con una concavità in polietilene che si articola con la glenosfera. In questo modo si sfrutta al massimo il deltoide e anche pazienti con severi deficit di cuffia possono recuperare gran parte del movimento articolare senza avere dolore grazie a questo artifizio meccanico che crea un “fulcro“ in grado di rendere efficiente per un movimento quasi completo il muscolo deltoide. Mentre inizialmente molti chirurghi erano diffidenti alla novità, negli ultimi anni le indicazioni all’impianto di protesi inverse si stanno allargando e le casistiche aumentano sempre più. Ad oggi, la protesi inversa rimane l’indicazione principe per pazienti con artrosi eccentrica secondaria a deficit funzionale di cuffia dei rotatori oppure ancora nelle fratture omerali ad alto rischio di viziosa consolidazione.
L’altra faccia della medaglia è costituita invece dalla protesi anatomica di spalla. In questo tipo di impianti la biomeccanica originale viene conservata, a patto che vi sia una cuffia dei rotatori perfettamente funzionante e competente.
A testimonianza della grande attività di ricerca che è in corso, ad oggi non esiste un gold standard di riferimento. Ad esempio alcuni modelli non prevedono la protesizzazione della glena, mentre altri si; alcune componenti omerali hanno uno stelo da posizionare nel canale, altre invece consigliano la sostituzione della sola testa omerale ancorata all’osso spugnoso in assenza di uno stelo diafisiario. Ad oggi non esiste quindi un modello migliore di un altro, ma quello che rende una protesi migliore dell’altra è l’indicazione chirurgica corretta.
Le protesi di spalla sono indicate anche nel trattamento delle fratture scomposte a più frammenti della testa e del collo omerale con netta propensione, per quanto mi riguarda, verso la protesi inversa piuttosto che verso protesi anatomiche.
Quest’ultime infatti necessitano di una ricostruzione intraoperatoria minuziosa e tecnicamente difficile delle tuberosità e delle conseguenti inserzioni tendinee correlate. Tutto ciò giustifica un lungo periodo riabilitativo postoperatorio con esito frequente in rigidità quando la relativa giovane età del Pz. sposta la scelta verso una protesi di tipo anatomico piuttosto che inversa.
Il Paziente operato di protesi inversa infatti inizia subito la mobilizzazione attiva e passiva postoperatoria con la sola precauzione di non extraruotare l’arto superiore contro resistenza nelle prime tre settimane postoperatorie per non vanificare la ricostruzione del tendine del sottoscapolare.
I risultati sono eccellenti per quanto riguarda l’immediato controllo del dolore specie notturno preoperatorio con una riabilitazione molto più rapida e semplice rispetto alle protesi anatomiche.
Il movimento concesso nelle prime ore post-operatorie nell’arco consentito dal dolore ed in auto assistenza permette, malgrado la reinserzione delle due tuberosità come in questo caso, di muovere in maniera soddisfacente già alla rimozione dei punti di sutura
Il punto dolente delle protesi inverse risiede nella loro giovane età ( la prima descrizione di protesi inversa risale al 1988 grazie al Prof. Grammont ) con conseguente scarsità di studi di sopravvivenza a distanza delle stesse. Altro punto ritenuto debole dai sostenitori delle protesi anatomiche è la alta percentuale di scollamento della componente glenoidea secondaria alle elevate forze che agiscono in flesso-torsione sulla metaglena malgrado il miglioramento degli ancoraggi meccanici al collo scapolare. Il progredire della nostra esperienza con le protesi inverse ci ha permesso di iniziare anche con questo tipo di protesi la chirurgia di revisione dei fallimenti per allentamento settico o asettico delle componenti.
Nel caso raffigurato (Fig.1 a,b) l’allentamento asettico della componente omerale per un disassemblaggio tra coppa omerale e stelo ha richiesto la revisione con protesi a stelo lungo e con cemento antibioticato dopo aver rimosso il cemento all’interno del canale diafisiario. (Fig.2 a,b)
Dopo circa due anni però la Pz. ha sviluppato infezione per cui ho provveduto a toilette dopo espianto della protesi e ad impianto per circa dodici mesi di spaziatore armato antibioticato (Fig.3a). In ultimo, per garantire miglior funzione, ho impiantato megaprotesi che normalmente si usa nel trattamento dei tumori previa bonifica allargata del campo operatorio fino al terzo distale di braccio previo isolamento del nervo radiale in tutto il suo tragitto (Fig.3 b,c).
Considerata la difficile e doverosamente minuziosa asportazione del cemento diafisiario per eventuale revisione da allentamento settico o asettico delle componenti protesiche, da circa cinque anni non uso il cemento nella protesica di spalla nè a livello glenoideo nelle protesi anatomiche, nè a livello diafisiario. Preferendo sistemi modulari posso trovare le altezze idonee agendo sulle dimensioni delle componenti da assemblare.
Personalmente ho impiantato protesi anatomiche possibilmente senza stelo e senza cemento in soggetti giovani in esito di fratture di testa e collo omerale trattate chirurgicamente o in maniera conservativa ed esitate in grave rigidità di tipo prevalentemente articolare. L’ancoraggio della testa protesica all’omero è ottenuto a pressione su una sorta di riccio ancorato alla epifisi prossimale dell’omero
Nella mia esperienza i risultati migliori si ottengono negli esiti traumatici dei giovani e negli esiti di necrosi della testa omerale.
Il caso che adesso mostriamo è peculiare trattandosi di una grave evoluzione artrosica in intervento secondo Latarjet in un uomo giovane. Di solito preferiamo l’eniartroprotesi anatomica ma nel caso descritto la ditta fornitrice ha introdotto in commercio una metaglena anatomica eventualmente convertibile in inversa per cui abbiamo scelto questo tipo di impianto che riserviamo solo in selezionati casi (pazienti giovani con esiti traumatici o necrosi avascolare della testa omerale).
Se possibile preferisco riparare il tendine sottoscapolare previo completo release dello stesso superiore, inferiore, anteriore e capsulare. Dopo liberazione della capsula posteriore la eventuale reiserzione del tendine del sottoscapolare non “sbilancia“ nel piano assiale l’impianto protesico in quanto non si sviluppano tensioni. Questo permette di muovere immediatamente in tutti i piani dello spazio la spalla con pronta ripresa del tono trofismo del deltoide e conseguente ottimizzazione del movimento. Il prossimo filmato dimostra intraoperatoriamente la salda reinserzione del tendine sottoscapolare. La mancanza di tensione alla reinserzione permette di muovere liberamente in tutti i piani articolari la spalla nell’immediato postoperatorio rendendo quasi superfluo l’uso di ingrombranti e poco tollerati tutori.
Mostro adesso un singolare caso di frattura patologica dell’omero prossimale per una localizzazione linfomatosa monostotica capace di occupare completamente la testa omerale in maniera espansiva.Dopo esecuzione di PET che non ha dimostrato ulteriori localizzazioni di malattia, si è scelto impianto protesico inverso e non macroprotesi tumorale.In effetti intraoperatoriamente la scarsa qualità dell’osso mi ha spinto al sacrificio dell’omero prossimale metaepifisiario con conseguente impianto protesico alto ma stabile anche a distanza.
Negli ultimi anni gli impianti protesici di spalla sono essenzialmente modulari e prevedono componenti da revisione facilmente assemblabili che permettono di accoppiare le varie componenti a seconda della situazione intraoperatoria che si va a definire e che non è sicuramente prevedibile permettendo anche la conversione semplice da anatomica ad inversa quando indicato.
La vera sfida per il chirurgo di spalla protesista sono i difetti ossei di glena congeniti nelle glene displasiche o acquisiti.In questi casi da qualche anno cerco di colmare il difetto osseo di glena con autotrapianto di osseo ricavato dalla testa omerale ( BIO-RSA ) in caso di impianti primari.
Con apposito strumentario si ricava il trapianto di osso dalla testa omerale secondo la configurazione geometrica richiesta e secondo lo spessore necessario ad impiantare la glena protesica secondo la configurazione spaziale sufficiente a garantire un movimento ottimale.