Traumatologia
Le fratture del terzo prossimale di omero possono essere trattate nella maggior parte dei casi chirurgicamente per ridurre i tempi di ripresa e per ottimizzare i risultati. Nella classica frattura del collo omerale con scarsa scomposizione si può utilizzare la tecnica en palmieres che prevede l’infissione, in anestesia locoregionale , sotto controllo scopico di grossi fili di acciaio attraverso un piccolo opercolo praticato con una fresa nella parte superiore della diafisi omerale attraverso una breccia cutanea di circa tre cm.
La progressione dei fili permette una sorta di espansione della frattura capace di ridurla e contenzionarla stabilmente grazie alla compenetrazione dei fili nella spugnosa della testa per cui il postoperatorio è facilitato in quanto praticamente libero da ingombranti tutori che obbligano la spalla in una posizione di adduzione intrarotazione che crea una rigidità difficile da rieducare.
Introduzione
Se la frattura è più complessa e soprattutto se interessa le tuberosità sempre nell’ottica di contenzionare al meglio e stabilmente la frattura per consentire immediatamente il movimento si può ricorrere all’uso di placche studiate apposta per il terzo superiore dell’omero caratterizzate da fori filettati su cui vengono avvitate saldamente le viti tramite una analoga filettatura della loro testa. La placca si comporta dunque come un fissatore esterno senza i disagi della osteosintesi esterna.
Personalmente eseguo un accesso contenuto diretto e lineare al passaggio tra deltoide medio e deltoide anteriore con ottimo risultato estetico e funzionale conseguito in breve tempo. Come si vede in foto la placca viene posizionata sotto il nervo circonflesso anteriore che deve essere preventivamente isolato e facilmente mobilizzabile senza tensioni.
Lo stesso tipo di placca con tenuta angolare delle viti e conseguente maggiore stabilità della sintesi può essere usata in alternativa al trattamento con chiodi endomidollari nel trattamento delle fratture diafisiarie di omero così come di altri distretti scheletrici.
Si tratta di placche molto lunghe che necessitano ovviamente di ampi accessi ma che garantiscono una stabilità ottimale del focolaio di frattura ed una conseguente rapida ripresa funzionale.
Recentemente ho iniziato ad usare placche dedicate all’osteosintesi dell’omero caratterizzate, oltre che da viti a tenuta angolare piuttosto che a normale compressione, soprattutto innovative per una sorta di sviluppo torsionale elicoidale che, oltre a garantire maggior tenuta per l’infissione su piani differenti delle viti, permettono a livello del terzo prossimale di omero di evitare durante il posizionamento della placca di ledere l’inserzione deltoidea (placche ALPS).
Queste placche innovative inoltre evitano eventuali impingement tra placca in sede e nervo radiale in quanto da laterali al terzo superiore di omero sono torte in modo da terminare distalmente alla faccia anteriore dell’omero. In effetti le osteosintesi con placca a livello della diafisi omerale richiedono sempre l’isolamento preventivo ed ampio del nervo radiale per evitare danni diretti sul nervo durante le manovre di riduzione o l’infissione degli elementi di presa per cui l’accesso chirurgico deve conseguentemente essere ampio.
In realtà il risultato estetico a distanza è buono ma soprattutto accompagnato ad una funzione ottima con pieno recupero del movimento che viene concesso senza tutela immediatamente
Placche dedicate all’omero prossimale già modellate sono usate anche per fratture metaepifisiarie (placche ALPS) come mostro adesso carcando sempre di essere molto conservativi nella gestione del nervo circonflesso anteriore che va sempre isolato e protretto avendo cura di far scivolare al di sotto dello stesso la placca di osteosintesi. In questa maniera si preserva la funzione del deltoide anteriore che aiuta a mobilizzare immediatamente e in maniera completa il braccio in tutti i piani articolari nei limiti del dolore accusato. Limito solo nelle prime tre settimane le rotazioni che devono essere dolci, graduali e progressive.
Sempre più frequenti sono le fratture periprotesiche il cui trattamento dipende dalla residua stabilità dell’impianto dopo la frattura. Nel caso che mostro la rima di frattura scendeva molto distalmente per cui, previo isolamento del nervo radiale, è stata posizionata placca lunga NCB con cerchiaggi a nastro Ortolog assemblabili alla placca con buon risultato che permette immediato movimento attivo auto assistito.
Quando invece la frattura è definita a quattro frammenti per cui la sintesi porterebbe ad un grave insuccesso per le scarse possibilità di nutrimento ematico della testa omerale è preferibile ricorrere all’impianto di una protesi.
Tentativo fallito di sintesi con placca evoluto in necrosi della testa omerale operato in altra sede e successivamente trattato con altroprotesi inversa.
In effetti impiantare una protesi inversa dopo il fallimento di una osteosintesi per osteonecrosi della testa piuttosto che per una possibile complicanza settica è sempre molto impegnativo per il paziente e per il chirurgo.
È fondamentale il tempo trascorso tra il tentativo di osteosintesi e la revisione in quanto si determina progressivamente una fibrosi tessutale ed una involuzione fibroadiposa del muscolo deltoide che condiziona gravemente la ripresa funzionale. Ci sono poi casi al limite come quello che adesso mostriamo dove la scelta tra sintesi piuttosto che protesi, pur con l’ausilio di immagini TC pre operatorie, è molto difficile.
Mostro un caso particolarmente difficile da affrontare. Trattasi di paziente di circa 70 anni operata di osteosintesi con placca PHP dedicata all’omero prossimale per frattura traumatica del terzo superiore di omero con rima molto obliqua. I colleghi avevano fissato solo la parte prossimale e distale con viti secondo non so quali principi di trattamento con il risultato purtroppo di causare una pseudoartrosi con successiva rottura delle viti distali. La paziente si affidava ad altro collega che per semplicità rimuoveva solo la parte di testa rotta delle viti lasciando nell’osso il resto delle viti e procedeva ad osteosintesi con placca PHP lunga trovando ancoraggio distale con numero sufficiente di viti a garantire una discreta stabilità del focolaio di PSA che veniva cruentato senza impianto di osso autoplastico con una vite obliqua di fissazione. Il nervo radiale pur non isolato non mostrava clinicamente alcun problema nel postoperatorio. La paziente sicuramente migliorava lo stato di partenza per qualche mese grazie alla ritrovata stabilità del focolaio di PSA senza però giungere a consolidazione tanto è vero che a distanza di circa un anno dal secondo intervento i monitoraggi radiografici seriati dimostravono involuzione del processo riparativo e progressiva rottura degli elementi di presa più distali. Si presentava alla mia attenzione con PSA ipotrofica inveterata del terzo medio superiore dell’omero con rottura pregressa di tre viti e recente di altre tre più distali con una chiusura completa dei canali midollari dei due monconi di frattura evoluta in PSA.
La mia scelta terapeutica è stata quella di cambiare la filosofia di osteosintesi cercando giungere ad una sintesi con chiodo endomidollare bloccato previa non facile rimozione con strumentario dedicato di tutti gli elementi di presa rotti e ritenuti compresi quelli della prima osteosintesi che , considerato il tempo trascorso, erano nei loro tramiti, completamenti mascherati da osso neoformato. Ricordo che alla cruentazione del focolaio di pseudoartrodesi ho dovuto ricorrere a frese flessibili motorizzate per aprire canali midollari completamente chiusi da osso reattivo sclerotico. Ovviamente ho proceduto ad isolamento in senso disto prossimale del nervo radiale che si presentava avvolto in tessuto fibroso ed in conflitto meccanico con il bordo distale della placca pur non manifestando clinicamente segni di sofferenza né irritativa disestesica né tantomeno deficitaria motoria. E’ stato poi prelevato osso spugnoso in discreta quantità da ala iliaca ed innestato nel focolaio di PSA
Il faticoso risultato raggiunto ha permesso mobilizzazione immediata senza limiti in ambito antalgico associando terapia con C.E.M.P. che ha portato a faticosa ( considerando la frattura di partenza sostanzialmente di medio-facile trattamento ) guarigione.
In ultimo mostro un esempio di osteosintesi su clavicola in frattura scomposta con terzo frammento verticalizzato e conseguente indicazione ad osteosintesi con placca e viti a tenuta angolare. In caso di pseudoartrosi di clavicola (di solito conseguenza di trattamento con sintesi endomidollare) le stesse placche vanno impiegate in associazione ad innesto osseo da ala iliaca.
Consideriamo poi la possibile complicanza settica, come nel caso che illustriamo, a seguito di osteosintesi con placca di frattura a più frammenti terzo superiore omero. Dopo un primo tentativo di bonifica con rimozione mezzi di sintesi ed impianto di fissatore esterno dedicato eseguito in altra sede, abbiamo provveduto a nuova bonifica con impianto di spaziatore antibioticato per circa tre mesi e successivamente protesi inversa associata a sfere di antibiotico locale ( Stimulan ) e generale con monitoraggio degli indici di flogosi. In seguito a precoce instabilità dell’impianto legata a scadente qualità dell’osso presente peraltro con riassorbimento grave dell’omero preossimale, a distanza di circa un mese nuovo intervento con stelo protesico da revisione e risoluzione del grave quadro clinico di partenza.
Nell’impianto di una protesi inversa su frattura preferisco fare un accesso superiore transdeltoideo diversamente dall’accesso deltopettorale che uso nella protesica anatomica piuttosto che inversa.
L’accesso superiore mi permette di stabilizzare saldamente sulla protesi le due tuberosità omerali per permettere una buona elevazione e rotazione esterna oltre che una maggiore stabilità dell’impianto.
Negli ultimi anni abbiamo un atteggiamento aggressivo nei confronti di gravi infezioni a seguito di osteosintesi dell’omero prossimale. Pensiamo infatti che le condizioni generali di solito scadenti di questi pz. difficilmente permettano una guarigione dello stato settico ed una consolidazione del focolaio di frattura per cui preferiamo essere “aggressivi“ nelle bonifiche chirurgiche dei focolai settici che devono essere eseguite precocemente asportando il tessuto osseo che appare non vitale e dunque destinato a diventare un sequestro osseo colmando la perdita di osso con spaziatori protesici di solito preformati da poco in commercio. Ovviamente a bonifica avvenuta con il benestare del collega infettivologo che gestisce insieme a noi il pz. dovremo procedere ad un impianto di una macroprotesi solitamente usata nelle grossolane resezioni ossee tumorali come nel caso che mostriamo.
Il video intraoperatorio ad impianto ultimato dimostra la stabilità ottenuta della macroprotesi inversa malgrado le ripetute sollecitazioni lussanti