Malattia di Dupuytren

Non si conosce la causa di questa iperplasia del tessuto fibroso che costituisce la fascia palmare descritta per la prima volta dal Barone parigino Guillame Dupuytren nel 1835.

Sappiamo che è nettamente più frequente dopo la sesta decade di vita, nel sesso maschile ed in alcune condizioni cliniche croniche come il diabete o le gravi insufficienze respiratorie piuttosto che negli esiti di trauma cranico con lunghi soggiorni in terapia intensiva o nei soggetti che assumono Gardenale.

La malattia è lentamente evolutiva e porta ad una flessione progressiva delle dita lunghe che determina stadi di gravità classificati da 1 a 4.

La malattia in stadio non avanzato può rimanere silente per molto tempo anche anni e può diventare rapidamente progressiva in pochi mesi in risposta a stimoli fisici locali come ad esempio una incisione chirurgica al palmo per un banale dito a scatto oppure una frattura del polso.La malattia peggiora anche in stati emotivi reattivi a conflittualità ambientali vissuti dal pz.

La malattia di Dupuytren può essere trattata chirurgicamente quando è già strutturata una flessione del dito interessato tale da non poter più appoggiare a piatto la mano su una superficie piana come quella di un tavolo ad esempio. 

Il trattamento chirurgico può essere praticato in maniera convenzionale con vari accessi chirurgici che mirano ad ottenere l’estensione delle dita interessate dalla malattia. La chirurgia convenzionale viene effettuata attraverso accessi a “zeta” volti ad ottenere plastiche di estensione cutanea e necessita di accurato isolamento delle strutture vascolo nervose del palmo e delle dita che vengono isolate e protette.

Nell’intervento convenzionale preferisco utilizzare un dispositivo per vincolare sul piano operatorio la mano e permettere l’approccio alle singole dita e ingrandimenti ottici utili nell’isolare le strutture “nobili” del palmo. La chirurgia convenzionale presenta pero’ limiti dovuti a lenta guarigione, lunghe sequele riabilitative e utilizzo post operatorio di tutori per favorire il mantenimento della estensione ottenuta.

Attualmente preferisco il trattamento percutaneo ad ago che prevede l’incisione della cute solo con la punta di un ago grosso che, opportunamente fatto scorrere in superficie e in profondità stacca le aderenze della cute alla fascia e interrompe la stessa in profondità permettendo di guadagnare una buona estensione delle dita pur non asportando la fascia fibrosa palmare che è il bersaglio della malattia. 

Ripetendo a più livelli del raggio digitale palmare l’interruzione percutanea della fascia fibrosa si ottiene globalmente un buon risultato.
Il paziente dunque continua a sentire il palmo indurito dalla fibrosi palmare ma non ha più il classico difetto di estensione che condiziona la vita relazionale quotidiana.
Personalmente, quando possibile, applico questo tipo di tecnica in anestesia locale al palmo con possibilità in pochi minuti e a cute integra, sfruttando l’elasticità della stessa, di ottenere una ottima estensione delle dita con postoperatorio estremamente semplificato rispetto alla tecnica tradizionale.

Nei casi severi di malattia può essere posizionato e solo per pochi giorni, un sottile filo di metallo che blocca il massimo guadagno ottenuto in estensione.

E’ consigliabile poi per circa sei mesi dopo l’intervento, portare di notte un tutore tipo Molla di Levame che mantenga il più possibile l’estensione ottenuta. 

 

Fig.1 e Fig.2: Le Figure 1 e 2 mostrano la condizione preoperatoria in caso di M. di Dupuytren stadio 4 del quinto raggio.

Fig.3 e Fig.4: In questi casi blocco per circa 15 gg la massima estensione ottenuta della IFP con un filo metallico concedendo immediatamente il movimento per quanto consentito.

Fig.5 e Fig.6: Altro caso di M. di Dupuytren stadio 3 nel pre e post operatorio, con foto eseguita il giorno successivo all’intervento, che dimostra l’ottima articolarità immediatamente raggiunta.

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

Fig. 4

Fig. 5

Fig. 6